Con i palmi chiusi a conca

Mi ricordo che da bimbo
non riuscivo a contenere
l’acqua nelle mani;
guardavo i grandi che bevevano
tutti appresso alla fontana
con i palmi chiusi a conca.
L’acqua non cadeva
tra le dita non si perdeva,
piuttosto dissetava.
E proprio non capivo
perché non ci riuscivo
e poi mi raccontavo
«magari ho dita piccole,
che l’acqua se ne fugge»
e non mi rassegnavo.
Ogni volta riprovavo,
mettevo le mie mani
con i palmi chiusi a conca.
La fontana era una madre
che quietava ogni sete
e mai si lamentava.
L’acqua che scorreva
si prendeva pure il tempo
che, ahimè, intanto gocciolava.
Scordai quella faccenda,
che non ebbi a ricordarmi
fino a molti anni dopo.
Oggi invece è lutto grande,
la fontana è già smontata
e nessuno è al capezzale.
«Le mie mani sono queste»,
le ho girate un po’ nell’aria
e ho provato a bere quella.
Sono adulte le mie dita
che ora sanno contenere
senza perdere una goccia.
Sarebbe bello se ci fosse
in ogni scuola e in ogni classe
una fontana come quella,
sarebbe bello se ci fosse
e che s’insegnasse a tutti come bere
con i palmi chiusi a conca.