Il giardino dell’androne è una selva, una foresta senza regole. Non viene curato da anni, decenni forse. Dalle fronde dei pini altissimi cadono corde di edera, la pietra dei caseggiati fascisti chiusi a U assorbe poca luce e restituisce trasandatezza, passato e la sensazione che rimarranno in piedi per tanto tempo ancora. L’asfalto è spaccato dalle radici e Pietro cerca di evitare con passi irregolari, ora più corti, ora più lunghi, ora con falcate, le pozzanghere. Si copre meglio il petto, avvicinando con una mano i due lembi del crombie, sa che appena fuori dall’abbraccio di quei palazzoni il vento cercherà il suo corpo senza alcuna pietà. Le scarpe sono salve, il cuore no. Quello rimbalza tra le pareti della cassa toracica che quasi glielo puoi vedere, puoi vedere come da’ spallate, calci e pugni. Si chiede cosa ci fa in quel corpo da bastardo. Socchiude gli occhi Pietro, attraverso le fessure aperte il giusto che serve per riuscire almeno a guardare i passi davanti a se, il vento misto a gelo sgomita e colpisce la cornea. Pietro adesso butta fuori la prima lacrima e non fa in tempo a scendergli sul volto che viene scaraventata via dietro di lui con un soffio. L’inverno cittadino è quello che sente e lo sente forte. Sente il freddo delle cose fuori e delle cose dentro. Ora che, piano, rallentato dagli schiaffi del freddo ha raggiunto il centro della città, scambia il suo passo con quello di qualche passante. Nessuno sa della sua storia e della situazione assurda nella quale si è andato a mettere. Consapevole di essere un buono a nulla, fatto solo di modi, estetica e una sensibilità che non è mai riuscito davvero a praticare. Che ne sa l’uomo scandalosamente normale con la busta della spesa e un montgomery di almeno 35 anni fa?! Che ne sa il ragazzino che approfitta del vento a favore per impennare senza pedalare sulla sua BMX riverniciata?! Che ne sa la ragazza occhialuta, appesa alla tracolla della sua borsa da universitaria?! Osserva tutti ma sembra che nessuno noti lui, si sente invisibile e gli piacerebbe esserlo per davvero, scomparire per non affrontare tutto quello che sta per accadere. S’è pentito forse, ma conosce bene i suoi cali d’entusiasmo. Situazioni che crea e nelle quali non crede. Rapporti umani che crea e nei quali non riesce proprio a credere. Sì, all’inizio è una grande cosa. Insomma, uno si innamora e crea dentro di se delle aspettative, delle mancanze, delle esigenze e all’improvviso ha bisogno, necessità dell’altro. Poi capita che il tempo consuma aspettative, mancanze ed esigenze e tutto diventa insipido, schiavo dell’abitudine. Pietro copre tutto questo con il cambiamento, non si fa scrupoli, di nessun tipo. Lascia, tradisce e ama con la stessa velocità con la quale beve un Martini.
Adesso comincia a sentire, quella che sarebbe dovuta essere una passeggiata, come una sessione di trekking, anche se non ha mai capito molto bene in cosa consiste fare trekking. Una volta fece qualcosa che doveva avvicinarsi molto al fare trekking, dagli zii materni, su, in Trentino. Ricorda solo tanti kilometri in salita su sterrato, ma quella volta gli avevano messo ai piedi scarpe comodissime. Mica come quelle che porta ai piedi adesso, queste gli danno fastidio. É vicino al parco ma mancano poco meno di due kilometri a casa, comunque non ha intenzione di chiamare un taxi come ha fatto per l’andata. L’umore, all’andata, era un altro. Era ancora padrone del suo cuore, all’andata.
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