Io non ti ho inventata

Il fuoco pigola in fondo alla notte
e io non ti ho inventata,
sei arrivata come arriva la morte
e non t’aspettavo
non t’aspettavo.
 
Ho visto un’orchidea selvatica,
vicina vicina al fuoco
danza nella carezza del vento
che fa suonare i campi e le fronde
perché non ha voce.
 
Voglio le briciole dell’ossigeno
che passa dalla tua bocca.
Voglio quelle.
Almeno quelle.

Fare la fila come gli sconosciuti

Non ho più niente da darti,
le ore sono piccole
e io nasco, cresco e muoio
in un giorno soltanto.
 
Non hai più niente da prenderti,
il silenzio s’è sciupato
ha le crepe in mezzo agli occhi
che ci passa un aeroplano.
 
Non le poesie,
quelle cuciture stupide
che fanno baciare quello che sei
con quello che vorrei esserti.
 
Nemmeno le canzoni,
che sono un bel vestito
tutto damascato
di petali appassiti.
 
Il vino
le rose
le vittorie,
persino i baci.
 
Non ho più niente da darti
non hai più niente da prenderti
se vuoi puoi pagare come fanno tutti,
fare la fila come gli sconosciuti.
 
E non guardarmi di lato,
non puoi permettertelo,
non ambire, piangi piuttosto,
vita.

La mia notte

Non ho niente contro di te,
solo non voglio che ti metta
a rovistare nel mio sonno.
 
La mia notte è permalosa,
non regge alle tue provocazioni
cede e si dispera
poi aspetta
fino al mattino
per chiederti se,
per caso,
vuoi un caffè.
 
La mia notte è orgogliosa,
non partecipa alla tua commiserazione,
si fa forza
poi ti sfida
con lo sguardo
e se non abbassi
il tuo prima del suo
ti regala una carezza.
 
La mia notte è una ragazza con gli occhiali,
non ti riconosce se non le suoni la tua voce
quando si fa tardi
si trasforma
in una donna segugio,
sarebbe capace
di riconoscerti al buio
dall’odore dei tuoi capelli.
 
La mia notte è il Gesù che sanguina
sacrificio dell’amore supremo,
riscatta il suo sorriso
con il tuo,
ora è pronto a morire per te
proprio come
lo sono
io.

Esisti nel modo in cui esistono i gatti

Tu puoi esistermi,
nessun problema, mia cara.
Puoi esistere
ad esempio
nel modo in cui esistono i gatti;
puoi stare a guardare
mentre combino guai
e gestisco male
il gomitolo delle tue personalità.
Puoi esistere come un rocchetto,
un rocchetto di un aquilone,
ad esempio
puoi tenermi al volo
mentre prendo sberle
e gioco nel vento,
cercherò tuttavia di non allontanarmi,
promesso.
Puoi esistere
ad esempio
nel modo in cui esiste il sonno,
puoi venire da me alla sera
a consolare le mie stanchezze;
ma ti prego,
annuncia il tuo arrivo
sicché io possa
in qualche maniera
prepararmi ad accoglierti
sotto le mie palpebre;
ti terrò al caldo lì,
ti proietterò dall’interno
e ti mostrerò il modo in cui
io
guardo
te
quando
tu
non
guardi
me.

Prova a prendermi

​E io sono qui, sulla luna
ad aspettarti,
ad aspettare il tuo decollo.
Il mare della tranquillità è un deserto immenso.
E guardo il pianeta terra,
che significa il tuo nome.
Vedo la stratosfera bucarsi
e la tua luce che brucia.
Giorni ad osservare il tuo tragitto,
a calcolarlo.
La parabola del tuo corpo nello spazio
dice che mi colpirai in pieno.
Immagino e aspetto il fragore delle tue labbra
che si schianteranno sulle mie.
Ed ecco già alzarsi il pulviscolo lunare
che somiglia ai tuoi capelli.
Ed ecco il tuo volto
che riconosco,
che aspettavo da millenni.
Ed ecco che sei Venere:
carne e pelle che vibra.
Ed ecco la luna che esplode
e non ci saranno più maree
né ascendenti sul destino degli esseri umani.
Non ci saranno più notti romantiche laggiù.
Non ci sarà più nessuno che saprà il mio nome
che è deflagrato nel tuo desiderio.
Nel mio desiderio.
E resterà l’immagine di una luna che c’era,
che riusciva a contenere la mia attesa
e adesso si consuma nel colore del fuoco.
 
 
Poco prima che disintegrassi il mio satellite
sono saltato sull’anello di Saturno.
Adesso, prova a prendermi.
Lì non c’è più respiro.​

Ah, se potessi modellarti con la terra di casa mia!

Ah, se potessi modellarti con la terra di casa mia!
Se potessi bagnare la terra di casa mia
e con le dita farti i fianchi
e poi spingere un grumo
e farci le tue spalle
e assottigliare una zolla
per farne le tue gambe.
 
Ah, se potessi modellarti con la terra di casa mia!
Casa mia non avrebbe più terra,
inventerei così tante te
per evitarmi la tua mancanza
che a casa mia non ci sarebbe più terra.
Dovrei estirpare i fiori che hai piantato,
le begonie
i tulipani
le orchidee
e le camelie
non esisterebbero più.
E per la smania di riaverti
di terra bagnata
e di una volontà sbagliata,
terra non ce ne sarà più,
ma darò il tuo nome
al mio deserto.

Ho amato donne stupide di un amore stupido

Il fatto
semplice semplice
che tu esista,
che tu sia stata
un poco mia,
è molto molto.
 
Ho amato donne stupide,
di un amore stupido.
Quelle
non hanno mai ballato per me.
 
Ti ho riconosciuta
in un’altra voce,
nel modo di inciampare
sulle parole.
 
Il fatto
vero vero
che tu sia stata
e non sarai più
un poco mia,
è male male.
 
Non importa, però.
 
Non è vero,
m’importa eccome.
M’importa
molto molto.

Ho cercato di far assomigliare le cose a te

Non ho mai cercato nulla che ti somigliasse,
piuttosto il contrario,
ho cercato di far assomigliare le cose a te.
Gli oggetti hanno preso le sembianze
delle cose di ogni giorno,
se ogni giorno fosse assieme a me.
 
Lo spremiagrumi
il centrotavola,
il portasapone,
il battiscopa,
lo stendipanni,
il giradischi,
gli asciugamani,
il fermacarte.
Il fermacarte,
già.
 
Cambia aspetto,
non esserti più,
divieni un vento.
Scegli tu quale,
Maestrale? Puoi.
Levante? Puoi.
Tramontana? Puoi.
Libeccio? Puoi.
Ma cambia, ti prego,
non voglio più pensare
che hai una consistenza
materiale
fisica
gravitazionale
se non posso più
tenerti.

A contare le ore abbiamo perso tempo

A sperare
abbiamo perso tempo.
A forza di augurarci il meglio
abbiamo perso tempo.
Ad aspettare il momento
l’abbiamo perso.
A credere che fosse giusto
abbiamo perso.
A credere di esserci trovati
ci siamo persi.
A contare le ore,
che cosa romantica
contare le ore,
così romantica
che pare fuori moda;
in ogni caso
a contare le ore
abbiamo perso tempo.
 
La parola Amore
non la sopporta
solo chi
non guarda il mare
e quando non può guardarlo
non gli manca.