La mia bellissima ora

Se questa sera mi avvicinerò a Dio, sarà lentamente. Così ho sentito: chi muore congelato, prima di spirare ha come un attacco di sonnolenza, in pratica si va via dormendo. Poi non è neppure detto che qualcosa si possa staccare dal mio corpo, un altro mio corpo trasparente e che poi fluttui fino al cielo. E non è neppure certo che questo ectoplasma della mia anima riesca ad arrivare a Dio. Se è come me è un’anima pigra e agnostica, non cercherà di fluttuare e di raggiungere un uomo canuto e di barba candida seduto su un trono che ha come pavimento una nuvola. Chissà come sarà, mi chiedo, dicevo pocanzi. Non lo immaginavo così il freddo, quello vero. Insomma, non così lento ad uccidere, ad ammazzarmi in questo dato caso. Intanto cercherò di resistere quel tanto che mi basterà per riuscire a vedere l’aurora boreale, vorrei vederla verde. Sulle riviste di informazione scientifico-culturale, quelle dozzinali e per menti fragili, la fanno vedere sempre verde. Vento non ce n’è e il gelo si posa sulle carni come la polvere sul divano di Zia Lina. Non ci si sedeva mai sul divano di Zia Lina, lei non ne voleva sapere. Ci teneva le bambole di porcellana lì e la polvere, setosa e argentea, si posava anche sulle ciglia di quelle. È così che il mio derma gela rasente. Si stratifica nelle ore e mi fa somigliare a Silver Surfer. Credo di aver perso i denti, non battono più, forse è incominciata la posa in opera della morte su di me. Voglio che, quando tra mesi la neve si scioglierà un poco, possano nascere su di me molti funghi. E voglio che siano commestibili. Insomma, che siano buoni come sono stato io su questo pianeta blu, giallo e verde. Perché io sono stato bene, ovvio, il finale forse è un po’ troppo, ma sono stato bene. È confortevole la terra se si riesce a star lontani dai terrestri. oH! I lupi! Li sento eh. In lontananza li sento. Ecco, a questo punto non voglio aspettare l’aurora boreale, che sia verde, fucsia, rosa o terra di Siena. Se mi sbranano i lupi non nascerà nessun fungo e me ne dispiaccio. Però anche i lupi hanno i loro diritti, non sarò arrabbiato con loro, anzi, quando il mio corpo spirituale si solleverà andrò ad accarezzarli mentre divorano il mio corpo materiale. Dirò loro – mangiate miei cari, mangiate. Però voglio prima morire di freddo, sennò è una fregatura con tutta quella roba del dolore, dell’agonia, del dissanguamento, etc. Sarebbe una noia, vi pare!? Di certo non avrei mai pensato di desiderare un giorno di morire. Sono più lucido adesso che mentre facevo l’amore con la migliore amica di mia moglie. Ecco, questo è un ottimo ultimo pensiero, adesso lo approfondisco e penso a quella volta che mi ritrovai dentro la migliore amica di mia moglie. Povera mia moglie, direte, ma quella ora sta dentro il suo nuovo marito. Tutto è apposto. Ok. Sì. Adesso ci penso. Lei suonò al mio studio, proprio sotto l’appartamento in cui abitavamo, perché non trovò in casa la sua amica e così io la feci entrare. Sapete, faceva caldo e dentro avevo l’aria condizionata. Così entrò, le offrii un thè freddo perché il caffè caldo disse che non era cosa con quell’afa. Insomma, lo facemmo nel giro di 10 minuti, sul pavimento, come i cani. Ma stemmo bene. Mi diede un ceffone quando andandosene io le chiesi – domani? Quella sera feci una passeggiata sul molo, il puzzo di alghe morte e teste di pesce rancidava l’aria bagnata e tutto, nel disordine, era al posto giusto. Come adesso, nella mia bellissima ora.

Il buio mi fece l’anima di acqua

Ero su un albero altissimo
la mattina fluiva
silenziosa.
 
Il temporale della notte
con la primissima carezza del sole
profumava ancora.
 
Così sentivo i movimenti del pianeta
riuscivo a percepire lo spostamento delle placche terrestri
così come fa il mio sangue ogni volta che si rifugia nel mio cuore.
 
Ero su un albero altissimo
al che l’albero gracchiò
e le sue radici si staccarono dal terreno in un rumoraccio improvviso.
 
Il frastuono echeggiò
ma subito implose nella quiete
nel fruscio del vento tra la fronda del mio ramo.
 
Tutto fu sospeso mentre nelle orecchie si ovattava il vuoto
l’albero saliva così di fretta che superata la prima porta del cielo
sono riuscito a scorgere il cappello del temporale della notte.
 
Quello saliva saliva saliva
non si fermava mica
forse non sa che oltre l’atmosfera non so volare – dicevo tra me.
 
Il gelo del proto-spazio congelò le sue foglie
nell’istante in cui arrivai a toccare il buio
e il buio mi fece l’anima di acqua e deflagrai in una polvere di brina.
 
Ero su un albero altissimo
che mi ha insegnato la notte.
 
Ero su un albero altissimo
volevo solo asciugarmi un po’ dopo il temporale
ma la notte è una madre spietata
e la notte è nera
come nere
sono le mie piume
come nere
sono le mie ali
da corvo.

Prova a prendermi

​E io sono qui, sulla luna
ad aspettarti,
ad aspettare il tuo decollo.
Il mare della tranquillità è un deserto immenso.
E guardo il pianeta terra,
che significa il tuo nome.
Vedo la stratosfera bucarsi
e la tua luce che brucia.
Giorni ad osservare il tuo tragitto,
a calcolarlo.
La parabola del tuo corpo nello spazio
dice che mi colpirai in pieno.
Immagino e aspetto il fragore delle tue labbra
che si schianteranno sulle mie.
Ed ecco già alzarsi il pulviscolo lunare
che somiglia ai tuoi capelli.
Ed ecco il tuo volto
che riconosco,
che aspettavo da millenni.
Ed ecco che sei Venere:
carne e pelle che vibra.
Ed ecco la luna che esplode
e non ci saranno più maree
né ascendenti sul destino degli esseri umani.
Non ci saranno più notti romantiche laggiù.
Non ci sarà più nessuno che saprà il mio nome
che è deflagrato nel tuo desiderio.
Nel mio desiderio.
E resterà l’immagine di una luna che c’era,
che riusciva a contenere la mia attesa
e adesso si consuma nel colore del fuoco.
 
 
Poco prima che disintegrassi il mio satellite
sono saltato sull’anello di Saturno.
Adesso, prova a prendermi.
Lì non c’è più respiro.​