Barbecue

Il mio cane
accetterebbe di me ogni cosa
che per gli altri umani
sarebbe inconsueta
sospetta
strana.
Per esempio
potrei accendere un barbecue
ogni mattina alle 6
senza però cuocere nulla:
s’accuccerebbe nel cortile
e dormirebbe sapendo che sono lì
comunque.
Potrei
starnazzare
o imitare il pavone:
prenderebbe ad abitudine pure quello.
Che gli frega?
Quello che conta
è che io ci sia
che io gli esista appresso
non importa in quale modo.
Stamattina
ho letto le ultime pagine
di una raccolta di Simic
poi ho acceso il barbecue
– aspettavo ospiti –
dopo sono entrato in casa
ho aperto un altro libro
di un altro autore
su versi a caso;
sentivo il bisogno di leggere
ancora una poesia
una soltanto
una dose della nostalgia di qualcun altro
un poco di parole giustapposte.
Se il mio cane accetta
posso accettare pure io
di farmi piacere la poesia:
questa cosa strana
che gli uomini fanno
quando quello che c’è
quando c’è
non è abbastanza.
Basta che si esista appresso.
 
 
 
 
* ~ l’acquerello è di Filippo Motole – “Vittorio e Shiro” [2016].

I tuoi fiori

C’è una piantina in un grande vaso di terracotta, all’ingresso
l’ha portata il giardiniere almeno quattro mesi fa
da lui è stata innaffiata per un paio di mesi
s’è impettita di verde e vestita di fiori.
Il giardiniere poi
tutto occupato con il nuovo roseto
ha cominciato a dimenticarsene;
la piantina quindi s’è seccata
così ho preso a metterle l’acqua che Shiro
faceva avanzare nella ciotola:
qualche goccia al mattino e poi di nuovo a sera
senza speranze di sorta
[né ho avuto mai il pollice verde].
Oggi
mi sono ritrovato a toglierle di dosso
i vecchi rametti secchi:
di nuovo i tuoi fiori fucsia
– mi sono sorpreso a dirle –
e nemmeno conosco il tuo nome.

Gli occhi di Serse

Un anziano pastore tedesco arruffato si trascina lento
la lingua gli pende da un lato del muso
viene portato a guinzaglio
da una ragazza con la maglietta fucsia
che sorride sempre;
guardandolo sorride di più.
Dentro alla luce aranciata
della giornata consumata
nel parco siamo io
lei
l’anima stanca.
Il vecchio pastore tedesco ha su di sé
intorno a sé, una luce diversa
più chiara e brillante
pare un guerriero
che ha finalmente smesso le sue battaglie
che ha guardato gli occhi di Serse,
come a portare dentro alla memoria sua
alcune grandi responsabilità della storia.
Mi ricorderò di te, Maestro
e magari sposerò la tua padrona
che sorride sempre
e che guardandoti
sorride di più.

Ancora un giro di lancetta

                                 Solo il russo del cane
              e il ticchettìo dell’orologio a muro
      disfano il silenzio
ancora un giro di lancetta
e potrò dire che sei
   lontana         abbastanza
    acché io possa cominciare
la posa
  in opera
      dell’

o

b

l
ì
o.
 

Ben oltre le tue risate

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Non capivo Venezia,

erano giorni inquieti,

tu dormivi in un letto che,

di me,

aveva solo l’odore.

Io non c’ero,

per davvero.

Io non c’ero

perché cominciai a roteare nella stanza

di quell’hotel di Mestre.

Guardavo dall’alto la tua esse,

i tornanti pericolosi

dei tuoi fianchi,

che già sapevo

di doverci morire.

Allora cominciai a roteare nella stanza

di quell’hotel di Mestre.

La mattina tu guardasti quell’enorme palloncino

a forma di cane,

come quelli che fanno i clown per le strade.

E io ti spiegai che era un’opera di Koons,

che significava ben oltre le tue risate.

Allora cominciai a roteare nella stanza

di quell’hotel di Mestre

e la finestra era aperta

e sono andato a cavalcare l’opera di Koons.

Quando sono tornato tu abbracciavi il mio odore,

ché solo quello mi era rimasto

da poterti concedere.