Amorenonamore

Da che hai chiesto amore
da lì [in poi] è cominciato il disamore
non soltanto perché tu lo chiedessi: l’hai preteso
io non ho mai ecceduto nel darti il mio, dal mio.
 
Non ho lezioni per nessuno né mai ne ho avute
però conosco il punto esatto in cui sboccia l’errore
ed è sempre nel non considerare il modo con cui l’altro
può affacciarsi al privato sacro sentimento nostro.
 
Ché si ama sempre da soli, amore non amore
questo è il sacrificio il prezzo il contratto.
 
Da che hai chiesto di essere amata
da lì [in poi] s’è stancato il fuoco.

Il fuoco solo

Non c’è rogo
che si spenga
se non per due volontà:
            l’abbandono
            o l’estinzione.
La prima consiste:
io lascio il fuoco solo
pioverà o smetterà da sé.
La seconda consiste:
io copro la fiamma con qualcosa
oppure la bagno un poco.
Nel caso uno:
la fiamma non diviene incendio
solamente se attorno c’è il vuoto.
Nel caso due:
la fiamma si assopisce
ma se la lascio di nuovo sola
c’è la possibilità che dopo poco
divenga un incendio ancora più alto
che divori il mondo.
Tutto quello che brucia
non sopporta la solitudine.

Cronaca di un fuocherello

Comprammo due scatole di diavolina;
mentre lei con l’indice tirava la prima dallo scaffale del supermercato
si voltò nella mia direzione
io guardavo il reparto della frutta secca
e mi fece –
forse è meglio prenderne due
sia mai non riusciamo ad accenderlo –
così le dissi che ok
potevamo spendere qualche centesimo in più
tanto non avremmo mangiato tutta la notte
qualche secono dopo aggiunsi
che le stavamo comprando per sicurezza
perché io poche volte ho acceso un fuoco

 

 

la sera si accese assieme alle serenate dei grilli
vibrava il caldo torrido che portava dalla città l’odore del mare stagnante
la campagna muggiva ancora dei suoni dei pochi contadini rimasti nei campi
ci sistemammo sul verandino
la mia ragazza apparecchiò male sul tavolo di plastica
quello cotto dai pranzi sotto il sole di Luglio
di quando mio padre c’era ancora
e si brindava col vino di mio nonno
che quindi c’era pure lui
ma mio padre è schiattato prima di suo padre
e per sommi capi questo è un pelo più drammatico

 

 

dopo fumò una sigaretta come fosse accavallare le gambe
un vezzo necessario per una donna seduta
le fettine sarebbero state pronte in due paia di minuti
giusto il tempo per guardare il tragitto di una zanzara
che le si posò sul braccio
gonfiò la sua sacca di sangue
si staccò dal braccio
e volacchiò pesante
fino a posarsi giusto sopra il plafone con la luce gialla dell’ingresso
mi alzai e portai con me un piatto e una forchetta
sollevai la graticola
portai la carne a tavola
lei sorrise senza guardarmi

 

 

sul piano della cucina
dentro
oltre le tendine di plastica
notai la busta bianca con le due scatole di diavolina
sigillate
a quel punto
dall’altro mondo
sentii mio padre ridere
quella fu la prima volta che ridemmo assieme.

La sera in cui lei arrampicò il corpo di lui

Gli arrabbiati piacciono agli arrabbiati
tu respira e cerca di copriti da quella pioggia nera
– mentre le diceva così
venne un rapido ululato dal traffico cittadino
che gli divorò per un breve momento le parole
guardava oltre il vetro
dietro i palazzacci annottava
poi continuò
– io non cerco un’oasi di tranquillità
cerco il tumulto
il precipizio
e in tutto questo
di farmi mancare il più possibile le cose necessarie.
 
La donna
poggiata scompostamente sul divano alle spalle di lui
si coprì la faccia
voleva fermare il peso delle parole
combattere la gravità pachidermica di ciò che le stava per dire.
L’uomo si voltò senza rivolgerle il viso
le si avvicinò
torreggiando
lei lo arrampicò con gli occhi
che parevano due pozzanghere
allora partì dalle ginocchia
al pube
poi il petto
il mento
la bocca
e infine
esausta
raggiunse l’iride.
 
– Ricordi la linea da cui siamo partiti?
L’amore è una maratona
si parte assieme
e vince uno
uno solo
e non
sei
tu.

Via Santa Lucia

Le case murattiane colano a picco
nei marciapiedi di pietra
e in un silenzio irrisolto
la via mi dice per chiari cenni
che il caldo costringe gli umani
ognuno nel suo rifugio
ad ansimare
a rinviare
le cose da fare
la lingua nera dell’asfalto
si srotola sulla via lunga
retta
infinita
solamente le cicale aspettano l’amore
le persiane verdi
uniche ferite sulla calce immacolata
nascondono qualche vecchina
che un tempo
ha assaggiato un amore
e nascosto un dolore

 

 

passa un ragazzetto su una bici blu

e spegne le cicale
mano a mano
che avanza
su Via Santa Lucia

 

 

le cicale riprendono

a implorare l’amore
tutto quello che non ho saputo darti.

Il fuoco

Ti ricordi
l’odore del calore che sale dalla spiaggia
che la terra rilascia
nelle notti fresche
che ci ricordava
la promessa del giorno che sarebbe venuto
e ci avrebbe trovati non vestisti
non composti
non avvinghiati
nella morsa di uno nell’altra
sul letto di cotone?
 
E ti ricordi
cosa dicono i greci
quando fanno l’amore
negli hotel a 2 stelle
vicino al tempio di Apollo
quando noi c’eravamo appena svegliati
e avevamo trovato l’americano a mangiarsi 4 uova
sode
perché non avevano i pancake e la pancetta
e ti guardava che tu mi guardavi
che cercavi la gelosia che io non ho mai avuto
né concesso
né praticato
né mai voluto conoscere?
 
La gelosia è il fuoco:
poca riscalda
troppa uccide la vita.

Dove muore il vento

Il lago
nel punto esatto
in cui riaffiora la tua iride
diviene più chiaro e più calmo
il volo delle ciglia sul promontorio
quello delle tue due pupille laviche
si quieta che sembra il giaciglio
nel quale va a morire il vento
tu mi costringi alla sponda
e io ti bacio come posso
ti bacio con la mano
la stessa che hai
desiderato
su di te
mai.

Le cose del cielo

Io t’ho amata da quando i miei
se la facevano coi tuoi.
E tu eri una ragazzina rossa
con le lentiggini ancora chiare
e io avrei voluto contarle
al posto delle costellazioni
e le cose del cielo.
E ora che sei una donna bellissima
proprio come io t’avevo immaginata
io ti amo e non lo sai
di un amore inconcludente
inutile come inefficace
ma chi lo dice che le cose inutili
non facciano parte del pavimento
sul quale camminiamo la vita?

Voglio essere un’opera d’arte

«Voglio essere un’opera d’arte»
«Lo sei o perlomeno io credo tu sia vicinissima ad esserlo»
I piccoli bagliori delle luci gialle e verdi sulla pista dell’aeroporto militare delineavano la sua mascella e lo facevano con una luce che ricordava quella del fuoco.
«Non lo sono e non lo sono perché sono debole»
«Ma non sei debole!» – guarda ad esempio come hai ridotto me, guardami su’, guarda cosa mi hai fatto – avrei invece voluto dirle.
«Io voglio fare della mia mente e del mio corpo qualcosa di bellissimo»
«Ma sei già bellissima così, cosa dovresti cambiare scusa?»
«Non lo so, voglio tornare a correre, perdere un po’ di chili»
«Ma se sei tutta ossa, fortuna ti salva il tuo bel culo»
«Smettila!»
«Cercavo solo un sorriso sulle tue labbra per farti capire quello che penso, ovvero che per me tu sei già una bellissima opera d’arte, per tutto quello che ti concerne»
«Per te!»
«Eh, per me, sì»
«Io voglio esserlo per me, non per te»
«Non arriverai mai ad essere abbastanza per te, è nella natura di tutti gli uomini non bastarsi. Anzi, quando arrivano a bastarsi vuol dire che sono già morti ma non lo sanno»
«Ci sono situazioni che non puoi capire, né tu né chiunque altro, situazioni dentro di me, mie barriere, miei fossati con i coccodrilli e all’improvviso grandi montagne. Quindi spesso mi arrendo all’idea che è così e subito dopo impazzisco per aver solamente pensato che potessi andarmi bene come sono»
«Sai che c’è?»
«Cosa?»
«C’è che un’opera d’arte è sempre la gemma di un acume, di un’estrema felicità o di un affilatissimo dolore e il suo frutto è la tua liberazione. Ecco, devi liberarti del tuo dolore per far sbocciare l’arte che vuoi essere.»
«Il mio dolore è enorme e non puoi conoscerlo»
«No, io non posso conoscere il tuo dolore, hai ragione, ma ne sono innamorato. Sono innamorato del tuo dolore»
 
La piccola goccia di sudore che scendeva incrociò la riga di una lacrima e ne percorse la scia, giunsero assieme sul bordo dell’abisso, indugiarono per un istante e assieme saltarono giù.